Eugenio Carmi (Genova, 17 febbraio 1920 – Lugano, 16 febbraio 2016) è stato un pittore italiano.
Esponente dell'astrattismo italiano, nel 1966 ha esposto alla Biennale di Venezia.
Eugenio Carmi, esule in Svizzera a causa delle persecuzioni razziali, completa gli studi a Zurigo.
Segue la lezione casoratiana fino all'inizio degli anni cinquanta, quando la sua pittura passa dal figurativo all'informale.
Sono questi per Carmi anni estremamente fertili nei quali alla costante attività di pittore nel suo studio affianca iniziative artistiche tra le più importanti degli anni sessanta in Italia.
Dal 1956 al 1965 è responsabile dell'immagine per l'impianto siderurgico di Cornigliano (Italsider). Insieme a Gian Lupo Osti, direttore generale dell'Italsider e uomo colto e illuminato, e insieme a Carlo Fedeli, capo ufficio stampa, Carmi persegue l'idea che l'industria deve fare cultura ed è in quest'ottica che progetta e realizza operazioni visive e culturali d'avanguardia. Inoltre è responsabile di tutta l'immagine coordinata dell'azienda, per la quale realizza progetti rivoluzionari come la serie di cartelli antinfortunistici su cui scrisse anche Umberto Eco come esempio geniale di semiotica industriale. Dal 1957 al 1965 ricoprirà il ruolo di direttore artistico della rivista aziendale Cornigliano.
In ferro e acciaio è l'opera che nel 1962 presenta a Spoleto alla mostra Sculture nella città, organizzata da Giovanni Carandente nell'ambito del V Festival dei Due Mondi.
Eugenio Carmi sempre affascinato dalle nuove possibilità tecnologiche, tra gli anni 60 e 70, è autore di opere sperimentali di arte cinetica e audiovisiva e realizza anche quelli che chiamerà segnali immaginari elettrici che saranno anche al centro di un'installazione provocatoria nelle strade della città di Caorle.
È in questa fase che nel 1966 è alla XXXIII edizione della Biennale di Venezia con l'opera elettronica SPCE (struttura policiclica a controllo elettronico), che gli vale anche l'invito da parte di Pierre Restany a partecipare con opere elettroniche alla mostra SuperLund in Svezia.
Nel 1971 si trasferisce con la famiglia a Milano, dove stabilisce il suo studio.
Dagli anni ottanta tra le sue tele compare la juta che anticipa il successivo ritorno alla dimensione materica. L'evoluzione della sua arte, definitivamente approdata al linguaggio della geometria è in continua e graduale evoluzione. Sempre attraverso l'astrattismo geometrico, le sue forme si avvicinano sempre più al rapporto con la spiritualità.
Nel 2001 viene nominato Accademico di San Luca.
Nel 2011 è presente, per la seconda volta, alla Biennale di Venezia.
Da sue opere originali sono state realizzate acquetinte e serigrafie, spesso commissionate da istituzioni pubbliche e private.
Muore il 16 febbraio 2016, in una clinica di Lugano, un giorno prima del suo novantaseiesimo compleanno.[3]