Enzo Esposito è nato a Benevento nel 1946.
Dopo gli studi all’Accademia di Napoli, i suoi interessi si rivolgono immediatamente verso l’arte concettuale. Si tratta di lavori che evocano strumenti e pratiche di tipo chirurgico, spesso conservati insieme a bende e ovatta, quasi alludendo allo spazio di un asettico studio medico. I suoi punti di riferimenti sono in particolare due: da una parte l’uso del bianco, inteso come somma e azzeramento di tutti i colori, colore simbolo di Piero Manzoni; dall’altra l’azionismo viennese, in cui il protagonista era il corpo stesso degli artisti sottoposto a pratiche di vera e propria tortura. Ma in lui si trova piuttosto un’evocazione della lacerazione, intesa non come disperata denuncia esistenziale dei malesseri dell’uomo moderno, ma come superamento dei limiti.
A questo primo periodo ne segue uno dove il medium scelto è la fotografia. Enzo Esposito impiega un modello che, di spalle, mima un autoferimento. Ma soprattutto compare la figura dell’Acefalo. L’Acefalo, in francese Acéphale, ideato da André Masson, è il protagonista della rivista omonima apparsa a Parigi negli anni 1936/1939, una rivista che rifletteva il pensiero di Georges Bataille.
Costruito a partire dall’uomo vitruviano di Leonardo, l’Acefalo è però decapitato, al posto del sesso ha un teschio e nelle mani tiene, a destra un sacro cuore, a sinistra un pugnale; è perciò il simbolo di una conoscenza non mediata dalla ragione, più viscerale e perciò, secondo Bataille, più autentica.
Fondamentale è inoltre il concetto, proveniente anch’esso da Bataille, di Dépense, intendendo con questo l’espressione delle emozioni e delle passioni spinta fino alla perdita di sé, fino all’estasi. E’ a questo che pensa Esposito, parlando di superamento dei limiti.
E ciò, come artista, comporta l’opposizione ad una idea dell’arte dominata dall’asettico razionalismo concettuale. I suoi quadri si costruiscono partendo da un segno elementare che replicandosi tende ad espandersi fino ad invadere tutto lo spazio circostante. Non è un caso se Renato Barilli, con la mai dimenticata Francesca Alinovi, lo invita, nel 1979, alla mostra Pittura Ambiente. Inoltre Catherine Millet lo vuole a Baroques 81. Lo stesso Renato Barilli lo inserisce poi fra i Nuovi Nuovi, un gruppo di straordinaria importanza.
Nel frattempo prende forma un nuovo segno a quattro lati che ricorda una porta, un passaggio, un superamento della tela verso il fondo, evoluzione dell’idea di lacerazione a cui fa riferimento la sua opera fin dalle origini. Per permettere a questo segno di dispiegarsi appieno, la pittura deborda, tanto che il pittore si trova costretto ad aggiungere alla tela dei pezzi di tavola.